Non c’è indennità di mansione, rinnovo contrattuale o altra battaglia sindacale, capace di scaldare il cuore del lavoratore dipendente in misura paragonabile al buono pasto.
Nel Comune di Milano da lungo tempo si discute di un adeguamento dell’attuale sistema (badge 5+2 euro ca.) con il passaggio, agognato, al ticket elettronico. Per la precisione agognato è il ticket, purtroppo elettronica la sua versione. Ci arriveremo.
Il modello attuale prevede l’erogazione da parte del Comune di un contributo di 5 euro, congiuntamente al prelievo in busta paga di 2 euro e poco più da parte del lavoratore. La convenzione sottostante questo pur risicato “buono” (oggi, pare, utilizzata dal 25/30% degli aventi diritto, già ma con quale frequenza?) dovrebbe consentire l’accesso ad un pasto completo comprendente primo, secondo, contorno ecc. Con quali limiti?
- Qualità e varietà del cibo disponibile, specie in prossimità di sedi di lavoro periferiche
- Disponibilità sempre decrescente di esercizi disposti a offrire un pasto per una cifra risibile
- Disponibilità di pasti eticamente compatibili con le scelte alimentari di ciascun*
- Non cumulabilità in caso di mancato utilizzo del badge
Cosa potrebbe accadere con una nuova convenzione, a titolo d’esempio con un adeguamento a 6/7 euro della quota parte Comune e 3 euro da parte del dipendente? Al di là dell’aumento dell’esborso individuale crescerebbe senz’altro la porzione di esercizi convenzionati e di conseguenza la prossimità alle sedi di lavoro, così come salirebbe la percentuale di utilizzo del servizio. Qualità e varietà dei pasti sarebbero anch’esse lambite, ma non affrontate in termini sostanziali. La non cumulabilità rimarrebbe intoccata.
Con questo non voglio dire che la convenzione non abbia che svantaggi, ci arriviamo poi in calce. Qual è l’alternativa richiesta a gran voce dai colleghi? Il passaggio al ticket. Quest’ultimo, consentendo la cumulabilità, è economicamente vantaggioso permettendo di non perdere mai il diritto al pasto nella giornata lavorativa, inoltre è spendibile in luoghi e orari distanti dal momento della prestazione, con il vantaggio teorico assoluto in termini di qualità e scelta (faccio la spesa, scelgo gli ingredienti, cucino!) e per questo stesso motivo non è certamente “la” soluzione in fatto di comodità e rapidità.
Facciamo ora un calcolo spannometrico: abbiamo diecimila dipendenti (totale – maestre e maestri che usufruiscono delle mense scolastiche) che lavorano per 22gg/mese, -30gg di ferie, +i sabati dei turnisti. Cosa ne ricaviamo?
Con un ticket da 5 euro non mangiano. Con un ticket da 6 euro non fanno un pasto. Con un ticket da 7 euro (per giorno lavorato!) e un contributo individuale (nei soli giorni di utilizzo!) potrebbero avere delle soluzioni. Con un ticket da 7 euro, con contributo individuale, e una convenzione con i locali, certamente si andrebbe incontro ad una soluzione felice per tutte le parti coinvolte.
Gli ostacoli a questa soluzione eppure esistono e sono essenzialmente di tre tipi:
- Lo stanziamento di ulteriori risorse (1,5 milioni?) per garantire lo sfondamento dell’accantonamento previsto dal Comune per l’ipotesi buono pasto 2023
- L’affiancamento delle due soluzioni (ticket+convenzione) con le complicazioni conseguenti in sede di appalto
- Il carattere elettronico del ticket, che non ha certo la diffusione (specie nei piccoli esercizi) di quello carteceo
No, non è tutto. Qualora fosse accolto il ticket, ma non la convenzione, i sindacati più attenti porterebbero per certo a casa una certa soddisfazione da parte dei lavoratori e al Comune non cambierebbe poi molto. Sotto il profilo però dell’economia di prossimità e della cultura dell’alimentazione avremmo invece un nuovo problema. Il sistema del ticket, specialmente quello elettronico, porterebbe tendenzialmente verso la spesa presso la GDO, per esteso grande distribuzione organizzata, mentre andrebbe a soffocare il ricorso agli esercizi di quartiere (laddove presenti) e all’opportunità di un’economia redistributiva sul territorio più concreta di tanti discorsi ben fatti sulla città dei 15 minuti.
Dobbiamo mangiare, giustamente. Ma possiamo rivendicare di mangiare “giustamente”.