Luigi Molinari e L’università popolare. Quinta e conclusiva puntata.

L’Università popolare oggetto di questo brano non è l’omonimo ateneo popolare la cui espressione più rilevante, per lo meno nel perimetro dello stivale, è stata l’Università popolare di Milano. A quella abbiamo dedicato le prime quattro puntate di questo speciale, se non sapete di cosa sto parlando consiglio di ripartire da qui. Muovere alla scoperta della rivista L’Università popolare (1901-1918) significa conoscere da più vicino il suo promotore, primo finanziatore, articolista ed editore: Luigi Molinari.

Molinari nasce a Crema il 15 novembre 1866, studia a Pisa per diventare avvocato e frequenta l’ambiente libertario sin da giovane. Nel 1887 lo riconosciamo con Luigi Galleani e Andrea Costa al terzo congresso del Partito Operaio Italiano. Nel maggio del 1893 partecipa con Pietro Gori, già suo compagno di studi, alla difesa dell’anarchico Paolo Schicchi. Lo Schicchi, dopo aver subito torture e percosse in terra iberica, era a processo per un attentato al consolato spagnolo di Genova. La sentenza di condanna è seguita da momenti di concitazione per cui lo stesso Molinari sarà condannato (per offese alla corte) a tre giorni di pena. Nel tempo libero scrive il testo di uno degli inni più celebri del movimento anarchico italiano: l’Inno della rivolta.

Nel fosco fin del secolo morente,
sull’orizzonte cupo e desolato,
già spunta l’alba minacciosamente
del dì fatato.
Urlan l’odio, la fame ed il dolore
da mille e mille facce ischeletrite
ed urla col suo schianto redentore
la dinamite.
Siam pronti e dal selciato d’ogni via,
spettri macà bri del momento estremo,
sul labbro il nome santo d’Anarchia,
Insorgeremo.
Per le vittime tutte invendicate,
là nel fragor dell’epico rimbombo,
compenseremo sulle barricate
piombo con piombo.
E noi cadrem in un fulgor di gloria,
schiudendo all’avvenir novella via:
dal sangue spunterà la nuova istoria
de l’Anarchia.

Inno della rivolta, Luigi Molinari

Un anno più tardi si conclude l’esperienza del giornale La favilla, da lui diretto in Mantova sin dal 1889. Avvocato sui generis (in seguito a un ciclo di conferenze di propaganda nei comuni del carrarino) è processato e nuovamente condannato alla pena di 23 anni con l’accusa di aver promosso moti insurrezionali in Lunigiana. La sentenza sarà in seguito dapprima convertita a “soli” sette anni di carcere tra le vibranti proteste dei settori progressisti e dei compagni, condanna che comunque il Molinari non sconterà per effetto dell’amnistia intervenuta il 20 settembre 1895. Nell’agosto del ’93, al fianco di Amilcare Cipriani, è portavoce degli anarchici italiani al Congresso internazionale socialista di Zurigo. Al volgere del secolo è direttore del giornate Il grido dell’operaio. Qualche anno più tardi nel suo studio d’avvocatura incontriamo anche la figlia di Angelo Insogna, sospettato di tramare l’evasione di Gaetano Bresci dopo l’arresto seguito al regicidio del luglio 1901. Parallelamente collabora tra gli altri ai giornali L’armonia, Combattiamo, Germinal e Il proletariato anarchico.

Agli albori del Novecento si appassiona sfrenatamente al ciclo nascente delle università popolari, di cui vagheggia una tensione non soltanto laica e razionalista ma immediatamente libertaria e radicalmente di classe, all’insegna di un educazionismo razionalista ed antiautoritario. In questa temperie nel febbraio 1901 fonda a Mantova la rivista L’Università popolare, la cui redazione cinque anni più tardi trasferirà a Milano fino al maggio 1918, cui seguirà la sua morte avvenuta il 12 luglio dello stesso anno. Negli anni di maggior frizione ideologica con l’istituto meneghino, e di più generosa sperimentazione di scuolette razionaliste d’ispirazione libertaria (Clivio, Bologna…) a partire dal n. del 15 maggio 1913 la rivista diventa Bollettino della Scuola Moderna Francisco Ferrer, con l’occasione dell’apertura dell’omonima società cooperativa per l’edificazione in Lambrate dell’istituto scolastico. L’attività editoriale e giornalistica non gli impedisce di dedicare tempo e argomenti all’impegno militante, tra le molte iniziative segue con particolare cura la preparazione del primo Congresso antimilitarista internazionale (1903/4). L’analfabetismo dilagante è considerato dal Molinari (e con lui da Merlino, Galleani, Pellaco…) uno dei limiti strutturali del campo dell’azione dei socialisti rivoluzionari e con questo spirito nel 1904 lo ritroviamo a Roma in occasione del Congresso internazionale del Libero Pensiero. Nel settembre del 1906 Molinari offre il suo contributo di contrappunto al riformismo socialista, proprio in Milano, al Congresso internazionale per l’educazione popolare.

Nel solco dell’impegno di Luigi Fabbri, Max Nettlau e Ugo Fedeli anima una rivista, dalla periodicità difficilmente riassumibile, in cui alle rubriche di polemica politica si alternano elementi di pedagogia e didattica, scienze umane e critica politica, oltre che di studio del fenomeno degli atenei popolari. Al primo questionario di autoinchiesta sulle UP che pubblica sulla rivista rispondono tra i molti Lombroso, Fabbri, la Malnati e Luzzatto, che anni piu tardi sara nella nota dozzina accademica che non presterà giuramento al Fascismo.

far arrivare ai lavoratori delle campagne, ai lavoratori pur anco delle città impossibilitati a frequentare i corsi popolari, la voce consolatrice e redentrice della scienza.

L. Molinari, Solidarietà umana, in L’Università popolare n. 1

Ne L’università popolare possiamo riconoscere le influenze di Ferrer y Guardia e l’attenzione all’esperimento cliviese di una scuola-asilo moderna nella provincia lombarda, per cui si presta anche a diverse conferenze culturali. Parallelamente il Molinari è autore di diverse conferenze e opuscoli di critica sociale e volgarizzazione scientifica tra cui ricordiamo Il tramonto del diritto penale, La vita e le opere di F. Ferrer, La teoria darwiniana spiegata popolarmente, Compendio di storia universale e, in ultimo, Il dramma della Comune.

Nel gennaio 1911 porta la sua iniziativa nel cuore di una nuova polemica contrapponendo la sua visione antidogmatica all’ecclettismo di chi propugnava maggior apertura alle confessioni in occasione del Congresso delle UP e delle biblioteche popolari. Diversamente dagli istituti che salutano con favore la riforma Daneo-Credaro (giugno 1911), con la sua rivista getta uno sguardo severo sull’operazione che avocava allo stato il ciclo dell’istruzione primaria: alfabetizzazione al prezzo di perpetuare valori e forme del pensiero clericale, statuale e antimoderno.

Due anni più tardi tuttavia la locale Camera del lavoro è sotto il controllo dei socialisti rivoluzionari, più sospettosi dei Turati e dei Fabietti nei confronti dell’interclassismo e della laicità politica degli istituti culturali di base. Dentro questa tensione, tra peculiarità della sua spinta editoriale e interesse al confronto con le istanze socialiste, il suo è un autorevole, continuo e pungente contrappunto. Il periodico d’opinione non è d’altronde un unicum. Per restare in ambito libertario a Bologna riconosciamo la breve esperienza de La scuola moderna, mentre sui temi d’interesse de L’università popolare muove anche La coltura popolare, che nasce come quindicinale nel marzo del 1911, proseguendo l’esperienza del bollettino della Federazione in ambito UIEP e sarà infine soffocata dal regime nel 1933, avendo perso da tempo la sua spinta propulsiva. L’UP resta ancorata alla figura del suo promotore: autorevole nella galassia anarchica, riconosciuto per l’opera di semplificazione e propaganda, nella sintesi dei corsi e nella chiara corrispondenza, meno efficace nel radicalizzare l’istituto di base per cui era nata. Nelle pagina della rivista sono riproposti i classici della filosofia politica anarchica, da Stirner e Bakunin, ma troviamo anche le firme di Claudio Treves, Ivanoe Bonomi, Carlo Romussi, Enrico Ferri, Luigi Fabbri e Leda Rafanelli.

Nuovamente sulla sua rivista sono puntualmente denunciate le storture che macchiano l’Università popolare di Milano (ma non solo) in forza dei venti interventisti a partire dalla Libia, di una certa massoneria al soldo di interessi terzi, e ancora saluta con favore i prodromi della scissione dell’Università proletaria, che non avrà tuttavia l’occasione di conoscere in forma compiuta.

Caro Marinetti,

io penso di essere veramente futurista, mentre tu sei presentista! Guarda: tu vuoi la guerra e la guerra trionfa ovunque; l’Europa è un immenso macello, è il teatro dei tuoi sogni, oggi non più sogni, ma realtà. Tu vuoi che l’Italia domini il mondo, ma Roma ha già dominato il mondo ed i tuoi ardenti voti si concretano in un ritorno al passato da secoli tramontato! Sei dunque presentista e passatista.
Io voglio una società futura affatto diversa dalla presente, e quale non è mai esistita nel passato. Voglio una società basata sull’amore, non sulla forza né sul cannone, sulla giustizia, non sulla legge ipocrita e menzognera. Voglio la libertà assoluta del pensiero, dell’amore e dell’azione, nell’individuo e nelle collettività costituite da guppi vincolati unicamente dall’armonia e dalla simpatia che li attrae. Questo è il “futurismo”, che ne dici?

Io sono futurista, L’UP, a XVI, n 9, set 16

Polemizza con la perversione interventista di una parte del sindacalismo rivoluzionario (De Ambris e Corridoni), di Maria Rygier e Libero Tancredi. Queste defezioni non costituiscono un unicum, si pensi agli endorsement all’Intesa di Jean Grave, Paul Reclus, Charles Malato e specialmente di Kropotkin. A questo proposito il Molinari rispolvera non senza amarezza le parole di Malatesta e pubblica appelli allo sciopero generale e alla resistenza internazionalista, finendo progressivamente vittima della censura, nonostante gli accorgimenti e l’uso di pseudonomi quali Libertad.

Il bilancio che traccia delle UP e del fenomeno delle scuole razionalista è in chiaroscuro, questo per via della marginalizzazione delle istanze radicali del primo (oltre che di un insuperato retaggio positivistico in rapporto alla questione rivoluzionaria) e di isolamento delle seconde. Questo non gli impedirà di ispirare in Milano la nascita dell’Università proletaria e di dedicarsi incessantemente all’iniziativa di conferenziere e polemista. Nel settembre del 1918 un numero speciale della Rivista viene edito in sua memoria e in nome di un educazionismo integrale, razionalista, misto e libertario.

In quell’epoca (1900) erano sorte le università popolari ed io nella quiete della mia patria adottiva, Mantova…pensai alla utilità di dare al pubblico popolare, stampate, quelle lezioni che si tenevano nelle universita popolari di Milano, Torino e delle altre già sorte in Italia. Lungo la vita l’anima mia libertaria modificò alquanto il piano semplicissimo primitivo e la propaganda del mio ideale, come te ne sarai accorto, mi tolse un po’ la mano!

Lettera ad Armando Borghi, 1917

Bibliografia minima dell’intera serie

La cultura milanese e l’università popolare negli anni 1901-1927, di Ugoberto Alfassio Grimaldi [et al.]
Le università popolari in Italia: 1900-1918, di Maria Grazia Rosada
Passaggi di secolo: Milano e la sua Università popolare alle soglie del 20. e 21. secolo, a cura di Fiammetta Auciello e Michele Dean

Luigi Molinari. Una vita per gli ideali libertari, 1981
Università popolare e la scuola moderna in Italia, tesi di laurea di Milena Puccini, parzialmente pubblicata a puntate in Volontà 1970/1971
Educazione e anarchismo, di Francesco Codello
Il socialismo anarchico in Italia, di Enzo Saltarelli
Storia degli anarchici italiani: da Bakunin a Malatesta (1862-1892), di Pier Carlo Masini
Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, di Fabrizio Giulietti
Le università popolari, Nuova antologia, 1901, vol. 4


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