Biblioteche popolari a Milano

Su Antonio Bruni e la prima biblioteca circolante (1861) abbiamo speso due parole qualche mese fa. Il nostro viaggio nel tempo fa oggi tappa nel triangolo industriale, e per la precisione a Milano, perché qui meglio che altrove è possibile cogliere l’evoluzione di un fenomeno che di lì a pochi anni, pur mantenendo un certo protagonismo al centro-nord e in particolare in Lombardia, troverà ampia diffusione dapprima a Torino e Genova, quindi a Roma e provincia, a seguire in tutto lo stivale.
Nel 1867, sull’esempio della francese Società degli amici dell’istruzione e di analoghe iniziative in nord America e nei nascenti stati nazione di tutta l’Europa continentale, sorge a Milano la Società promotrice delle biblioteche popolari, che ben presto raccoglie i primi cinquanta soci con un abbonamento mensile al costo di 30 centesimi. Luigi Luzzatti, Emilio Treves e Giuseppe Sacchi ne sono tra i primi promotori.

A che servirà il saper leggere al popolo, se non avrà nulla da leggere? Il complemento della scuola primaria è dunque la biblioteca popolare.

Jean Macè

In questa primissima fase le biblioteche circolanti sorgono spontaneamente in assenza di regia pubblica, supporto economico e precise norme di conduzione. La Società ne supporta la nascita e la messa in rete, in anni segnati da tassi di scolarizzazione deprimentemente bassi. Nelle intenzioni dei proponenti l’acculturazione in età adulta non poteva che passare dalla lettura, dalle università popolari, e dalle altre iniziative sorgenti nell’alveo del mutuo soccorso e vocate ad affrancare dalla paralisi dell’ignoranza le fasce più marginalizzate.

Nel settimo (e ultimo) Annuario delle biblioteche popolari in Italia e all’estero il Bruni cita il superamento del migliaio di unità di questa prima tipologia di bibliotechine di quartiere, scolastiche e ambulanti. Anche Filippo Turati, dopo aver contribuito a fondare quella Lega socialista milanese (1889) che darà i prodromi al Partito Socialista, entra a pieno titolo (1895) nella Società promotrice delle biblioteche popolari, a segnalare l’interesse del socialismo riformista meneghino per questo tipo di iniziative orientate all’emancipazione della classe per mezzo delle buone letture.

Due anni prima, sempre a Milano, è sorta grazie a un lascito di Prospero Mosè Loria anche la Società Umanitaria. Quest’ultima, siamo nel 1903, convoca tutti gli enti cittadini interessati a un progetto di Consorzio che vede coinvolte, con la Società promotrice delle biblioteche popolari e quella della cultura popolare, anche l’Università popolare e la Camera del Lavoro. Tra gli obiettivi nel neonato istituto, che pubblica anche un Bollettino delle biblioteche popolari, c’è quello di attrarre finanziamenti da parte della Cassa di risparmio, dalla Camera di commercio e chiaramente dal Comune di Milano, che aveva timidamente iniziato a supportare una biblioteca civica circolante (1886), versione accresciuta della Biblioteca pei maestri sorta nel 1861.
Pur non aderendo direttamente al Consorzio delle biblioteche popolari il Comune offre il suo sostegno economico a partire dal 1906, quando i prestiti del Consorzio hanno ampiamente superato quota trecento al giorno. Cinque anni più tardi sorge l’Unione provinciale delle biblioteche popolari, che si trova a questo punto al cuore di un ecosistema che include i molti istituti del mutualismo (cooperative di credito e consumo) e della previdenza sociale in risposta ai bisogni emergenti. Il Consorzio vede Turati alla presidenza ed Ettore Fabietti alla direzione. Fabietti, autore del Manuale per le biblioteche popolari e più avanti de La biblioteca popolare moderna, è il più attivo e noto animatore di questa anomala istituzione sorta dal basso, che con le altre istanze citate, preme per una legislazione della materia e forme compiute di cooperazione istituzionale.

Copertine del volume in bibliografia

Il congresso romano del 1908 rappresenta il primo tentativo compiuto di portare questi argomenti all’attenzione dello stato italiano, con un equilibrio non semplice tra il riconoscimento quale istituto di diritto pubblico e l’attaccamento a quella che in termini contemporanei definiremmo una governance popolare, ancorata a un malcelato filantropismo.

In un panorama paludato e non scevro da un certo eruditismo, le “popolari” assumono per prime tanti connotati della biblioteca moderna: gratuità (o forte accessibilità) distaccamenti territoriali, aperture serali e di sabato, sale dedicate ai ragazzi e di pubblica lettura.

Nel 1912 partecipano la Federazione italiana delle biblioteche popolari ideata in occasione del congresso 759 biblioteche (erano un quarto all’atto di fondazione) di cui 194 nella sola Lombardia. Eppure due anni più tardi solo un quarto delle aderenti funzionano in un regime di efficienza. Il protagonismo del volontariato è molto forte e la garanzia di aperture su più giorni mai scontata. L’istantanea in chiaro scuro emerge in occasione di un’autoinchiesta promossa dalla Federazione stessa. Parallelamente al processo istituente delle biblioteche popolari, anche la municipalità si attrezza per rispondere al mutamento dei bisogni di accesso alla cultura. Dal punto di vista della capacità, e dunque libertà, di leggere un testo ci troviamo in anni di impensabile accelerazione: basti ricordare che tra il 1861 (fondazione della circolante di Prato) e il 1901, il tasso di alfabetizzazione passa dal 25 al 51%.

Nella cornice della Federazione nasce il periodico La coltura popolare (1911) e più avanti (1921) il mensile La parola e il libro, che accorperanno le precedenti iniziative editoriali. Nel frattempo, con il 1917, il Consorzio è divenuto Istituto autonomo per la cultura del popolo. Ciascuna di queste organizzazioni elabora bibliografie di saggistica e narrativa, di opere originali e volgarizzazioni, kit per l’allestimento di piccole biblioteche e succursali di paese o quartiere, ma anzitutto formazione per i bibliotecari e i volontari impegnati nel servizio di reference.

Le biblioteche popolari di Milano soffrono la crisi del riformismo socialista e le crescenti frizioni con la (maggioritaria) composione borghese, benché progressista, che abbraccia un nazionalismo sempre più spinto, mascherato dall’appello a una maggiore laicità politica nella postura dell’istituto.
La dicotomia tra biblioteche statali e autogoverno delle biblioteche popolari stenta a produrre in tempi certi qualcosa di immediatamente identificabile col modello delle public library anglosassoni o delle free town libraries nordamericane. La biblioteca civica che aveva la sua primogenitura nella Biblioteca pei maestri ha superato le diffidenze delle storiche istituzioni meneghine, la Braidense su tutte, ed è divenuta nel frattempo una circolante in senso proprio. Prima di giungere all’attuale sistemazione in Sormani, nel secondo Dopoguerra attraverserà le sale del Palazzo Giureconsulti, del Museo di storia natuale e del Castello Sforzesco.

Nel 1932, quando il processo di epurazione politica dalla Federazione è compiuto da un quinquennio, il regime vara l’Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche che sarà soppresso solo nel luglio del 1977.


Bibliografia minima

La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell’Europa contemporanea
Paolo Traniello, Il Mulino, 1997

La cultura milanese e l’università popolare negli anni 1901-1927 / Ugoberto Alfassio Grimaldi [et al], Franco Angeli, 1983

Le biblioteche minori : evoluzione, tipologia, forme di conduzione
Anna Gentilini e Maria Gioia Tavoni, NIS, 1981

Ettore Fabietti e le biblioteche popolari : atti del Convegno di studi : Milano, lunedì 30 maggio 1994, Società
A cura di Paolo M. Galimberti e Walter Manfredini, Società umanitaria, 1994