A inizio dicembre Joe Biden ha concluso la sua carriera politica inseguendo le orme di Clinton e Obama: tradendo tutte le attese per la concessione della grazia a Leonard Peltier dopo ben 17798 giorni di reclusione. In vero Biden si è superato concedendo contestualmente il perdono presidenziale a suo figlio sia per evasione fiscale che per l’acquisto illegale di un’arma. Così iniziava il pezzo bello pronto per la pubblicazione fino a una settimana fa, poi qualcosa è accaduto.
Una manciata di minuti prima di lasciare la poltrona al tycoon, a Leonard Peltier (malato da tempo e semi cieco) sono stati concessi gli arresti domiciliari. Non è la grazia in cui si è sperato e per cui decine di migliaia di persone si sono battute per mezzo secolo, non le assomiglia affatto. Né basteranno una manciata di giorni perché la misura diventi esecutiva. Eppure quel che è accaduto la scorsa settimana attesta un risultato importante per l’uomo che domanda da 49 anni verità e giustizia, per il movimento nativo nordamericano, per i suoi alleati in tutto il mondo.
Scrivo oggi da una posizione inconsueta per un ex pubblico ministero, per supplicarvi di commutare la pena di un uomo che ho contribuito a mettere dietro le sbarre. Con il tempo e col senno di poi, mi sono reso conto che il procedimento giudiziario e la lunga incarcerazione del signor Peltier erano e sono ingiusti
James H. Reynolds, procuratore del caso Peltier
In tanti anni di battaglie per la sua liberazione Leonard Peltier è diventato un simbolo Oglala Lakota e della resistenza nativa nordamericana nel mondo e anche nella nostra lingua sono stati pubblicati diversi titoli, purtroppo non più in catalogo ma reperibili in biblioteca, sulla sua vita, le sue lotte, la sua arte: Nello spirito di Cavallo Pazzo (Peter Matthiessen, Frassinelli, 1994), Il coraggio d’essere indiano: Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti (Edda Scozza, Erre emme, 1996) e La mia danza del sole. Scritti dalla prigione (L. Peltier, Fazi, 2005).
Apparso originariamente nel 1983 col sottotitolo the story of Leonard Peltier and the FBI’s war on the American Indian Movement e tradotto solo dieci anni più tardi. Nonostante l’anzianità di servizio resta probabilmente il testo più completo sull’episodio di Jumping Bull Ranch, oltre che per ricchezza di dettagli e per la capacità di illustrare la temperie politica in cui avvengono i fatti.
L’autrice cura un piccolo prodotto editoriale che mesce il riepilogo degli eventi alla maturazione di Leonard all’interno dell’istituzione carceraria e al suo secondo tentativo di evazione: quello compiuto attraverso l’arte pittorica e le fitte corrispondenze con l’esterno tra delusioni, speranza e crescita personale.
L’ultimo testo pubblicato è anche l’autobiografia di Peltier e per diverso tempo, stanti le precarie condizioni di salute, è stato considerato il suo testamento spiriturale. Dalla scrittura del documento sono passati oltre vent’anni e una nuova generazioni di nativ* e di alleat* ha preso il testimone della campagna per la sua liberazione.
La prossima settimana, per la precisione il prossimo 6 febbraio, saranno 50 anni, mezzo secolo, che l’attivista dell’American Indian Movement classe 1944 è ostaggio delle carceri nordamericane, in seguito a un primo trattenimento e poi a un processo segnato da palesi irregolarità e dubbi (che potete recuperare per sommi capi dalla sintesi di wikipedia, col documentario Mitakuye Oyasin o ancora col noto Incident at Oglala) dal trasferimento al cospetto di una giuria ostile e dalla circonvenzione di una persona fragile per deportare illegalmente Peltier dal Canada.
FBI documents, released after Peltier’s sentencing, revealed the FBI’s long-term agenda against the Indigenous movement in the US, including by suppressing the activities of AIM. According to Kevin Sharp, a member of Peltier’s defense team, the Bureau’s strategy was to “continually harass and arrest and charge” AIM leaders so that they “can’t protest their own treatment.” An internal FBI memo also revealed a push to concentrate all resources on convicting Peltier, after his co-defendants had been acquitted. Peltier’s trial itself was rife with misconduct.
Peoplesdispatch
Il Comitato internazionale di difesa di Peltier, attivo anche in Italia con iniziative pubbliche e campagne di pressione (su questo, tra le altre e gli altri un encomio va ad A. De Lotto che da anni segue con ostinazione la vicenda) è reperibile all’indirizzo whoisleonardpeltier.info. Il giorno in cui questo brano viene pubblicato il conteggio segna 18.888 giorni di ingiusta prigionia cominciati il 26 giugno 1975 a Pine Ridge col furto di un paio di scarpe e un’auto senza targa che irrompe in una comunità sotto attacco, per concludere mezzo secolo più tardi con un anelito di libertà. E questo nonostante le pressioni dell’FBI, gli arresti degli esponenti di NDN lo scorso anno di fronte alla Casa bianca, la distrazione istituzionale globale su una campagna vincente che non riparerà, perché non può restituitre a Peltier nemmeno un giorno di vita, ma ricuce la fiducia, i legami, la comunità.