Pirati senza caraibi

Quello degli introiti mancati a causa della pirateria non è un puro e semplice refrain, né una leggenda poggiata su elementi (perché ci sono per davvero) veritieri, è piuttosto un genere letterario: ha le sue figure ricorrenti, uno sviluppo narrativo riconoscibile, un registro caratterizzante, persino un pubblico piuttosto definito, che non coincide con quanti leggono gli indignati articoli sul tema.

Le ultime rilevazioni, macché rilevazioni, le ultime stime, parlano di un danno al sistema paese che supera quota 1,7 miliardi di euro, e nello specifico 700 milioni di euro di perdita su base annua per il settore e 300 milioni per il fisco, il resto potrebbe essere indotto. E cos’altro, settori connessi? Spese per il contrasto all’illegalità? Quest’ultima, sarà controintuitivo, non è tecnicamente un danno ma una nuova economia alimentata dal furto, qualcuno potrebbe ribattere. In sintesi il 28% del mercato del libri, quasi un terzo del valore potenziale, è piratato, a segnalare le dimensioni abnormi del sommerso e il suo impatto (12.000 posti di lavoro!) sugli attori della filiera editoriale. E chi ruba digitalmente i libri? Anzitutto le studentesse e gli studenti universitari, che detengono saldamente il record di illegalismo diffuso con il 78% del campione e 5 milioni di testi trafugati, fotocopiati, spediti digitalmente, sprotetti. Dopo di loro i professionisti, e come dimentare i ggiovani, in buona sostanza siamo noi tutti. Se non sei tu che leggi, sono i due che ti stanno affianco. In termini generali, negli ultimi 12 mesi, un terzo dei cittadini al di sopra dei 15 anni di età si è reso responsabile di 300.000 atti di furto e oltre 30 milioni di testi sottratti.

Numeri su numeri, non sempre coerenti, non solo di facile lettura, numeri che parlano al di là del numero, che si propongono come argomento di per sé. Qui viene il punto. Mentre le indagini sui numeri della pirateria sono ripetute a cadenza stretta, molto poco si sa della pirateria come fatto sociale. Davvero possiamo ridurre tutto al fatto che se ogni libro rubato fosse acquistato avremmo più posti di lavoro e guadagni e una florida economia di giustizia e legalità? Credo di no, forse solo l’ultima voce, che di per sé non è un valore ma un negoziato in perpetuo divenire che scontenta molti, in special modo gli esclusi.
Pensare una cartella di ebook grattata dal web (da cui in partenza per le vacanze si passano a un amico due .epub via telegram..) nei termini con cui si guarda uno scaffale di libri rubati o comunque non acquistati è semplicemente sciocco. Non è un modo serio di guardare ai meccanismi di mercato, alla propensione all’acquisto, alla capacità di spesa e alle tante dinamiche che ci fanno desiderare (spesso) e possedere (una quota parte risibile) i libri con cui entriamo in qualche modo in contatto. Qualche minaccia e un po’ di pubblicità progresso posso giustificare forse le azioni di sponda delle direzioni competenti, ma la comprensione dei comportamenti sociali è tutt’altra cosa.

Io no, perché questo cose com’e abbia detto non si fanno. Ma quell’italiano su tre che condivide la password di netflix in cambio di spotify formato famiglia, e con la chiavetta movimenta bancali di file mobi e pdf, non è che l’anno successivo lo convinci a spendere 1500 euro in più in cultura in forza di articoli allarmati e allarmanti. Quei soldi non ci sono, e quando ci sono non c’è l’abitudine, o forse è la motivazione a non essere sufficiente. Un altro fatto, e qui si entra davvero nel cuo vivo della riflessione. Pensare che la pirateria sia puramente un’alternativa di comodo al’acquisto non è poi diverso dal dire che andare in biblioteca è un danno alla frequentazione delle librerie. Probabilmente qualcuno lo penserà, ma pochi lo dicono ad alta voce. Perché dall’alto di un servizio solitamente pubblico, che compete con un piccolo o grande commercio èrivato, l’immaginario positivo dell’ambiente bibliotecario evoca immediatamente l’idea dell’abitudine alla lettura che stimola anche la propensione all’acquisto. Chi ruba no. In quest’ultimo caso i dati sono letti squisitamente nei termini di una sottrazione indebita. Eppure i numeri, questa volta si, potrebbero suggerire anche letture diverse.

La smaterializzazione dei supporti ha anch’essa un impatto nella valutazione del volume: si rubano meno oggetti di un tempo e infinitamente più file, probabilmente la prima e certamente la seconda. Muta, non necessariamente a ragione, la percezione del danno prodotto dall’atto di pirateria e muta specialmente il soggetto che lo piange. Quando rubi in libreria quel libro se lo piange al 100% il libraio, che non sempre è una catena ma magari un micro-esercente, per tutti gli altri soggetti della filiera (autore, editore, industria connessa..) non c’è alcun danno. Anche su questo si è riflettuto poco, e male. Quando rubi online liberi un’opera d’ingegno piuttosto che un esemplare contraffatto, e qui il calcolo “costo-beneficio” sarebbe da definire con maggior pacatezza, certamente non lo piange una libreria, e anche sull’autrice/autore, così come sulla casa editrice, ho le mie perplessità. E ancora: rubare una novità o un volume di catalogo è la stessa cosa? Sotto il profilo penale lo è per certo, sotto quello della diffusione e del soggetto “danneggiato” probabilmente no. Il mercato è uno spazio conteso tra catalogo e novità, ma anche tra acquirenti e auto-riduttori…


In una delle sue ultiche fatiche editoriali (Editori e pirati, Adelphi) lo storico statunitense Robert Darnton suggerisce, l’esistenza di una sorta di illuminismo della pirateria. La sregolata diffusione sregolata dei testi impone il primato della circolazione delle idee a fronte della macchina del privilegio e del nascente diritto d’autore, garantendo a un tempo diffusione internazionale, controllo dei prezzi e possibilità di eludere le maglie della censura. Il tutto avviene in funzione anti-parigina? Certo, librai di provincia ed editori “stranieri” non sono mossi da motivazioni etiche, eppure le esternalità del loro agire aveva ricadute pratiche positive per la biodiversità culturale. Tutto questo già duecentocinquanta anni or sono.