Quando nel novembre 1861 Antonio Bruni fonda a Prato la prima biblioteca circolante avente per iscopo il raccogliere le interessanti attualità della stampa italiana ed i libri più utili ed istruttivi non ha che diciotto anni e otto soci fondatori.
La “circolante” era una biblioteca di prestito, vocata non alla sola consultazione ma alla libera circolazione dei testi. L’intuizione, che avrebbe portato nell’arco di una decade alla nascita di 250 biblioteche popolari e nel 1908 alla Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari (Milano), non era per altro del tutto nuova.
Sin dal 1784, su spinta di Giovanni Nieuwenhuizen, era sorta in Olanda la società filantropica per il bene pubblico Tot nut van’t algemeen che arrivò ben presto a organizzare 266 biblioteche scolastiche e popolari. Di lì a pochi anni il fenomeno avrebbe trovato in Manchester la sua “capitale” prima di propagarsi all’intera Inghilterra. Qualche anno più tardi, siamo nella stagione del Bruni, le biblioteche popolari approdano in Scozia a partire dalle scuole artigiane di Edinburgo, quindi in Alsazia, Australia, Belgio, Algeria e Istria. Ne potevi incontrare a Madrid così come a Berlino. Negli Stati Uniti il fenomeno crebbe con ancor più spinta per effetto di una legge del 1855 che prevedeva l’apertura di una biblioteca in ciascuna municipalità, e con iniziative uniche per dimensioni in New York e Philadelphia. Riavvolgendo il rullo della storia, sorte ben diversa ebbe (siamo nuovamente a Edinburgo) il poeta Allan Ramsay, padre dell’omonimo e più noto pittore, denunciato nel 1725 quale propagatore di scandali dopo l’annessione alla sua bottega di libri di alcuni scaffali accessibili al pubblico.
Certo, la prima biblioteca moderna di un certo rilievo attiva in Milano era di molto precedente. L’Ambrosiana di Milano fu aperta su stimolo del cardinale Borromeo nel lontano 1609, ma non preveda la formula del prestito né la sua gratuità o l’accesso a prezzi calmierati. La biblioteca circolante popolare di Prato promuoveva la crescita e gestione del suo patrimonio per mezzo di un contributo mensile di 30 centesimi.
Sempre il Bruni
Il modello della biblioteca popolare sarebbe stato nel tempo superato, eppure alcune di queste sono giunte sino ai giorni nostri, sovente integrate all’interno di sistemi bibliotecari comunali o di area vasta. Di altre esperienze di rilievo, quale l’iniziativa di Alberto Geisser in Torino per i più giovani, è giunta chiara l’eco sino ai giorni nostri.
Quando scrivevo “superato” intendevo a dire in vero soffocato da vent’anni di regime fascista. Le figure chiave del Consorzio per le biblioteche popolari promosso a Milano, Filippo Turati ed Ettore Fabietti, sarebbero state presto estromesse da ogni protagonismo in un progetto che aveva l’ambizione di aprire le porte alle biblioteche cattoliche e scolastiche, incrementare le collezioni, e specialmente promuovere le aperture serali. Un secolo dopo, in un contesto profondamente mutato sotto ogni punto di vista, diverse istanze promosse dalle biblioteche “per il popolo” restano non solo inevase ma profondamente attuali. Tra le molte l’apertura della public library in orari che consentano la frequentazione a chi è in età lavorativa, così come la loro diffusione nelle aree meno servite, l’incontro con le marginalità e l’apertura ai più giovani.