I social dei libri

Nel 2006 nascono in Italia Wuz e Anobii. Il primo, in principio sorto come rivista digitale e poi passato al gruppo Feltrinelli, ha chiuso da diverso tempo. Il secondo ha sviluppato ben presto una discreta comunità di utenti in lingua italiana, pubblicato almeno un libro di recensioni dei suoi utenti, quindi sperato in un rilancio dopo la parentesi societaria in pancia a Mondadori, e ancora ha atteso e trovato un restyling grafico (che però gli ha fatto smarrire la caratteristica visualizzazione a libreria) poi più nulla.
Un anno più tardi da quel lontano 2006, non dall’ultimo maquillage web del social che porta il nome del tarlo della carta, nasce Goodreads. In oltre quindici anni di letture Goodreads ha costituito la più grande comunità digitale di lettori, autrici, recensori, e forse anche per questo si affaccia periodicamente alle cronace di settore per via delle medesime tare che affliggono gli altri social media commerciali: atteggiamenti persecutori, utilizzo fraudolento, derive commerciali di diverso tipo. Eppure, con più aggiornamenti di policy che di interfaccia, e nonostante la persistenza della sola lingua inglese, Goodreads si è ritagliata un suo protagonismo, seppure di nicchia, tra gli amanti del social reading.

In questi anni, da Zazie a Fred per non lasciare le nostre latitudini, sono sorte e morte innumerevoli altre piattaforme. In tempi più recenti si sono affacciate al panorama tra le molte BookShelf, LibraryThing, StoryGraph, Bookly, Libib, Litsy, BookVille, Gleeph…soluzioni gratuite e a pagamento, open e non, mobile e web app, locali e su cloud, operanti nel campo vasto in cui è possibile organizzare la propria collezioni (di libri e specialmente di letture) con una propensione alla produzione e condivisione di informazioni, commenti, voti, all’interno di comunità verticali d’interesse.

Giunti a questo punto è bene chiarire che questo non è il consueto post “10 alternative a questo e quello”, del 90% delle piattaforme e app citate non so davvero nulla di sostanziale. Ho leggiucchiato di quella con cui gestire i prestiti dei libri di casa o di quell’altra con cui conoscere persone con o tuoi stessi gusti: in sintesi non ne so granché per il semplice fatto che queste cose non mi servono e conseguentemente non mi sono impelagato nella ricerca di “più funzioni” e “novità”. Ho usato Anobii per diversi anni e, stimolato dalla sua prolungata empasse, ho testato Goodreads in tempi più recenti. Come? Con quali risultati?
Non potrei fare alcuna recensione nemmeno di quest’ultimo perché quel che mi premeva era la pura, banale, piana registrazione cronologica delle letture (e delle scritture, perché in tutta onestà la pagina autore l’ho testata) raggiungibile via web. Non uso l’app perché semilicemente non serve. Non sono un fan della sua impaginazione affollata, qui va detto, per assurdo, che la sua grafica è stata aggiornata “a metà” per le sole visualizzazioni delle pagine-libro e in alcuna altra sezione, nemmeno ad anni di distanza. Non ho nemmeno tentato interazioni sociali di alcun tipo, un po’ per disinteresse, ma anche perché delle migliaia di contatti cumulati negli anni, le amicizie e conoscenze attive in piattaforma si contano sulle dita di due mani, e nemmeno su tutte e dieci le dita.

Eppure Goodreads, con il suo aspetto da web 1.0, le sue challenge di lettura, comunità d’interesse e suggerimenti che ho imparato letteralmente a non vedere quando mi capita di aprirlo per un aggiornamento, fa una cosa semplice e la fa, quasi, bene. Quasi. Il limite contro cui vado a sbattere da sempre è la disponibilità relativa di testi in lingua italiana, la rugginosità dell’aggiunta di nuovi testi, la sostanziale impossibilità di correggere altrui e propri caricamenti di nuovi libri. Basti pensare alla difficoltà ad aggiornare una copertina o segnalare un doppione magari generato automaticamente e, quindi, nel peggior modo possibile. La piattaforma pare condannata da una sorta di ritrosia a investire risorse indispensabili per un hub che Amazon, che ne era stata a sua volta proprietaria, oggi punta a contrastare con YourBooks.

Goodreads appare come un luogo immobile in una rete che muta troppo in fretta, e forse per questo suo limite alla fine di tutto tiene. Tenere traccia delle letture non è un piacere che ratifica la chiusura di una pratica, è una scusa per riconoscere gli autori, i generi, i momenti della lettura dentro un archivio che è aperto e disponibile all’intromissione, ma resta sostanzialmente d’interesse privato. Questo appagante esercizio mi ricorda lo sfogliare mazzi di fotografie, passare in rassegna gli ultimi giochi d’infanzia, riepilogare a cena la trama di un film il cui titolo è smarrito alla memoria. Un esercizio appagante, che si può giocare su un apparente social in piena e compiaciuta autonomia con un’esperienza d’uso comunque migliore del primo foglio di staroffice su cui un tempo segnavo a colori i vhs belli (in verde), medi (in giallo) e “riscrivibili”, se condannati dal colore carminio.

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