In occasione dell’edizione più difficile di Più libri più liberi, funestata prima dall’affaire Caffo, poi dalle contestazioni più ampie di un drappello di case editrici, il Ministro alla cultura ha risposto positivamente alle richieste della filiera del libro, rispolverando il Fondo Franceschini per le librerie. Con una radicale operazione di rebranding, archiviato il nome del primo promotore, oggi si annuncia a mezzo stampa il Piano Olivetti per le biblioteche. Non muta la sostanza né l’importo di 30 milioni di euro. Franceschini Olivetti is back in town, ma non tutto è come appare.
nel decreto Cultura interverremo con 30 milioni per finanziare le biblioteche. Quello che chiamiamo Piano Olivetti per la cultura deve essere riempito di contenuti che accorcino la distanza tra centro e periferia e diano capacità di spesa e lettura a chi è più svantaggiato. Un piano per la diffusione delle librerie che dà voce e capacità di spesa e di lettura a chi finora è stato escluso. La salute della filiera dell’editoria nasce con una sana educazione alla lettura, che genera un ulteriore fabbisogno di libri in un circuito virtuoso
Alessandro Giuli all’inaugurazione di Più libri più liberi
Le parole chiave selezionate per l’operazione sono altisonanti: cittadinanza digitale, alfabetizzazione mediatica, ammodernamento e nuove tecnologie, primato delle periferie. Cose buone e giuste, risorse che in ogni caso è bene accogliere con moderata soddisfazione, che tuttavia non è chiaro come possano (con una manciata di migliaia di euro da spendere in libri e in libreria) generare il cambiamento evocato. L’intervento va soprattutto contestualizzato nell’ampio disegno di contrazione del Piano Sviluppo e Coesione, degli investimenti destinati a università e ricerca, e nei tagli proposti all’intero settore cultura dalla Legge di bilancio 2025 (-147 milioni nel 2025, -178 nel 2026, -204 in conclusione del triennio). A titolo d’esempio sono almeno 18 i milioni sottratti proprio al capitolo relativo ai beni librari.
Il “sostegno robusto” alle biblioteche in memoria di Adriano, qui un primo tentativo di approfondire gli elementi di continuità e discontinuità con l’iniziativa di Olivetti in un contesto di sfalci generalizzati al capitolo cultura, va infine collocato in un’ulteriore cornice semantica: l’esplicito e inedito rapporto tra riarmo e cultura (su “guerra e biblioteche” recuperate anche questo pezzo di BibliotecAria).
Noi per fortuna siamo il mondo libero che purtroppo però deve entrare in una logica, purtroppo, di riarmo come forma di deterrenza nei confronti delle autocrazie e dei dispotismi. Ma se tutto ciò avverrà ineluttabilmente tramite l’emissione di debito pubblico, cioè dei nostri soldi, di quelli dei nostri figli e dei nostri nipoti, allora perché non immaginare qualcosa di simile a un Eurobond Cultura, per esempio? […]
Alessandro Guli
Perché non immaginare che una percentuale dei soldi che noi, i nostri figli, i nostri nipoti, impegneranno per armarci e creare una deterrenza militare non debba essere impegnata affinché le armi di cui ci doteremo non vengano mai usate. E come si fa a proteggerci dalle armi, a non utilizzarle? Attraverso la cultura, attraverso i libri, attraverso il dialogo, attraverso la ricerca condivisa. Allora è questo il messaggio che deve passare qui in Europa – conclude Giuli – se possibile nell’Occidente, nel mondo intero.
Provo a parafrasare questa introduzione del ministro Giuli agli eurobond della cultura con parole mie: Noi siamo i buoni. Non vorremmo, perché non vorremmo, ma dobbiamo armarci. Per riarmarci (sì, nello stesso triennio delle sforbiciate di cui sopra) investiremo almeno 7 miliardi in nuovi sistemi d’arma. Per autoconvincerci a non usare la forza dobbiamo tuttavia offrire qualche briciola allo sistema culturale che abbiamo minato proprio per dirottare sugli armamenti le risorse già destinate alla cultura. Mi pare inattaccabile.