Lo spazio digitale, esattamente come lo spazio urbano, riflette le disuguaglianze, i pregiudizi, le forme di esclusione che caratterizzano le società umane. Qualche tempo fa mi è capitato di introdurre la presentazione di Algoritmi dell’oppressione, un libro di Safiya Umoja Noble recentemente tradotto in italiano per i tipi di Tamu editore e la curatela del collettivo Ippolita. L’autrice è professoressa di Studi di genere e Studi afroamericani presso l’Università della California e ci accompagna in un viaggio anticipatorio rispetto all’attuale ricorso massivo all’IA, sottolineando il lato oscuro dei motori di ricerca, della profilazione e del razzismo dilagante nel metodo di lavoro che porta a produrre algoritmi che si sono rivelati affetti da pesanti tare e pregiudizi. Il volume si concede un breve spazio per incursioni anche in luoghi del sapere dall’aura a prima vista più pulita delle famigerate corporation di big teh quale, ad esempio, la biblioteca pubblica. Eppure…
Melville Louis Kossut Dewey, il padre della Classificazione Decimale Dewey (CDD), nasce nel 1851 nella contea di Jefferson. Il giovane Melville si confronta quasi per caso con l’oggettone biblioteca e, constatata l’assenza di un sistema credibile ed efficiente di organizzazione, ad appena vent’anni immagina la prima versione della CDD, cui seguirà in breve tempo la pubblicazione nel 1876 dell’opuscolo A Classification and Subject Index for Cataloging and Arranging the Books and Pamphlets of a Library. Scheda e indice analitico-tematico raccontano con limpidezza la sua ipotesi di archiviare per sempre l’ordinamento alfabetico, per abbracciare una classificazione fondata su un sincretismo di sistema metrico decimale e organizzazione del sapere fondata sull’impianto occidentalista, protestante e anglo-americano. Nonostante ancora oggi coesistano le classificazioni della Library of congress (LOC), la Colon (CC), la Decimale universale (CDU) ed altre di minore rilevanza globale, il sistema di Melvil (amava firmarsi così) incontra presto un grande successo e negli ultimi cinquant’anni si diffonderà capillarmente anche nell’intero universo bibliotecario di pubblica lettura in lingua italiana.
E dunque, qual è il problema questa volta? Ciascuna delle dieci classi primarie (da 0 a 9) accoglie al suo interno altre dieci sottosezioni, e così si procede per subordinate potenzialmente infinite e continue ramificazioni, in un sistema di organizzazione del sapere caratterizsato dalla forte discrezionalità del proponente e dei suoi epigoni. Le prime critiche alla sua architettura biblioteconomica giungono probabilmente da parte sovietica: il suo scheletro tradiva infatti una concezione borghese e la matrice eurocentrica e americanista di Melville. In tempi recentissimi le accuse vireranno sull’esibito specismo della sua concezione. Ma è nel corso del Novecento che i suoi limiti appaiono con maggiore chiarezza. Qualche esempio: la filosofia antica, medievale ed orientale stanno ben compatte dentro la sola 180, mentre alla sola filosofia occidentale moderna è destinata l’equivalente classe 190. Possiamo notare qualcosa di analogo osservando l’esplosione della classe 400.
400 Linguaggio
410 Linguistica
420 Lingue inglese e anglosassone
430 Lingue germaniche. Tedesco
440 Lingue romanze. Francese
450 Lingue italiana, rumena e affini
460 Lingue spagnola e portoghese
470 Lingue italiche. Latino
480 Lingue elleniche. Greco classico
490 Altre lingue
Ma è nella 200 che la temperie della stagione realizzativa della classificazione si esprime più problematicamente. La quasi interezza della classe (da 220 a 280) è interamente dedicata al cristianesimo in tutte le sue affermazioni. Tutte le altre religioni di ogni tempo e di ogni luogo si rannicchiano nella sola classe 290.
La musica non cambia se facciamo un affondo sulla letteratura: mentre per la letteratura anglofona, quantomeno nelle edizioni successive a quella iniziale, si distingue chiaramente tra letteratura “inglese” e “americana”, ancora oggi spagnolo e portoghese condividono indistintamente la matrice-base numero 860.
Trasferitosi a Boston, Dewey fu tra i promotori dell’American Library Association (ALA) e del suo noto Library Journal. Tra i primissimi animò biblioteche per non vedenti, prestiti interbibliotecari, attenzione ai più piccoli, con uno sguardo davvero lucido e pionieristico. Eppure la sua biografia ha un lato oscuro, oppressivo, antisemita, razzista e sessista non comune nemmeno nella sua temperie storica, motivo per cui nel 2020 la stessa ALA ha rinominato la Melville Dewey Medal, Medal of excellence.
Intendiamoci: si possono incontrare problemi in ogni singola tappa del viaggio del libro edito in direzione dello scaffale. Possono riscontrarsi casi di censura in fase di acquisto (tema oggi molto caro alle bibliotecarie nordamericane) e limiti catalografici nell’espressione dei formati e dei materiali dei documenti. Nello stesso perimetro della catalogazione semantica (e oltre la Dewey) la saggistica è esposta anche a soggettazione, e anche in quella branca se n’è viste e se ne leggono di ogni. Specularmente alla classificazione i soggetti scelti hanno espresso concezioni e discriminazioni del loro tempo, si pensi a lemmi desueti quali mongoloidi o isteria, a rinvii che associano la filosofia politica dell’anarchismo alla categoria di terrorismo politico (LC).
Qui, in fatto di diversità, equità e inclusione, ci viene in soccorso la CritLib, basata sul modello sociologico della Critical Race Theory (CRT). Anche in ambito LIS, con buona pace dei grandi padri, ciascuna operazione biblioteconomica (dalla catalogazione allo sviluppo delle collezioni) è passibile di maggior attivismo, severa revisione, spinta a una giustizia sociale e a una riforma dei sistemi desueti, incomprimibile nel discorso della schietta neutralità.
Immagine di copertina da Wikimedia commons


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