Nelle biblioteche tornano le aperture fino alle 23. Con questo titolo, piuttosto stercofonico, lo scorso 19 febbraio la redazione milanese di Repubblica informava l’utenza (e i bibliotecari stessi!) dell’attesa estensione degli orari di apertura al pubblico. Due righe più in basso, con un carattere certamente più minuto, il sottotitolo precisa che l’estensione riguarda un terzo delle rionali della città.
D’accordo non saranno tutte, d’accordo si poteva informare i dipendenti con una diversa tempestività e sensibilità, ad ogni modo (specialmente nei quadranti periferici della metropoli) il superamento del soffitto delle ore 19 è un’ottima notizia. A quattro anni dalla riduzione di orario seguita alla pandemia, le rionali e i loro servizi tornano a rivolgersi a un pubblico ulteriore a quello studentesco, “agè”, e in ogni caso a quanti lavorano a tempo pieno.
Veniamo ora ai tre limiti dell’iniziativa: temporalità, inquadramento professionale e offerta di servizi. Il progetto, della durata di pochi mesi, si presenta non come un investimento strutturale (e quindi ragionato all’interno del piano di sviluppo del settore) ma come un’attività estemporanea, finanziata a fondo perduto da un operatore privato, la Fondazione Banca del Monte di Lombardia. Chi aprirà le sedi? Non dei bibliotecari, nemmeno dei lavoratori che, pur in un regime contrattuale precario, siano inquadrati nella cornice cooperativa di Federculture. Si è optato per il contratto Multiservizi, con una paga oraria inferiore ai 9 euro lordi l’ora nonostante l’indennità dovuta al lavoro serale fino alle 23.30. Quali servizi saranno disponibili? Sale studio, autoprestito e restituzione laddove disponibile, rete internet e servizi…igienici.
In conclusione la direzione è certamente suggestiva: luci accese nelle biblioteche per rispondere a bisogni, tempi di vita, generazioni diverse. Tuttavia la via che si intraprende è quella di una sperimentazione breve (non solo in termini assoluti, troppo breve per trarre un bilancio adeguato) che all’oggi non ha una prospettiva futura chiara e che restituisce all’utenza una percezione di biblioteca minima, non differente da quel che accadeva fino a pochi anni fa, e d’altronde ulteriore all’offerta media delle medie e grandi città al di fuori della cornice universitaria.
Non è tempo di perdere la curiosità, cedendo alla duplice tentazione di un entusiasmo disinformato o di un’altrettanto comoda critica ad alzo zero. Sarà sufficiente tenere la rotta, spingendo per un sentiero forse più scomodo, ma certamente più appagante.