La Biblioteca nazionale di Haiti con i suoi 45.000 volumi malcontati non è certo nel palmares delle istituzioni culturali più prestigiose dell’area caraibica. Fondata una prima volta nel 1825, rifondata (l’attuale) nel 1939, ospitava una collezione di risorse storiche e moderne sulla cultura haitiana comunque senza pari, prima di essere spogliata a partire dalla dittatura di Francois “Papa Doc” Duvalier. Nuovamente funestata dal terremoto che ha investito l’isola nel 2010, la biblioteca di deposito nazionale (oltre che la principale di Port-au-Prince) come denunciato dall’Unesco è stata nuovamente saccheggiata lo scorso 3 aprile, subendo la stessa sorte delle altre istituzioni artistiche, culturali, educative della città.
Le nostre collezioni documentarie sono in pericolo. Abbiamo documenti rari di oltre 200 anni, importanti per il nostro patrimonio, che rischiano di essere bruciati o danneggiati dai banditi […] Mi è stato detto che i delinquenti stanno portando via i mobili dell’istituto. Hanno anche saccheggiato il generatore dell’edificio.
Dangelo Neard, direttore della Biblioteca
Il Paese ha rivendicato l’indipendenza misconosciuta dalle potenze coloniali nel lontano 1804, ed è stato per questo economicamente stritolato nei decenni successivi. Ha superato una nuova invasione, due dittature, due golpe, duecentomila morti a causa del sisma del 2010 affrontato in condizioni di isolamento e povertà, 10 mila morti di colera umanitario e ha conosciuto l’ultima tornata elettorale parlamentare nel 2016. Tutto questo prima dell’omiciodio del primo ministro nel 2021.
Dal mese di febbraio la capitale è ostaggio di centinaia di bande criminali, sovente in conflitto tra loro e con lo stato per il controllo del territorio. Il coprifuoco in vigore fino al 10 aprile, è stato mutuato in stato d’emergenza fino al prossimo 3 maggio. Il Consiglio di transizione è stato riconosciuto dalla comunità internazionale ma la sua attività è stata sin qui funestata dagli atti di saccheggio e vandalismo che nelle ultime settimane hanno provocato almeno 1500 morti e accresciuto di 50.000 unità la stima degli sfollati interni verso le regioni del sud. Decine di migliaia gli abitanti rimasti senza una casa dove dormire. Le violenze diffuse hanno colpito la scuola nazionale d’arte, l’ospedale universitario, la chiesa battista, porto e aeroporto, oltre che ovviamente stazioni e avamposti di polizia da cui talvolta provengono gli stessi banditi precedentemente licenziati. Almeno quattromila i detenuti liberati. L’accesso ad acqua e cibo è intermittente, mentre intere zone della città sono semi-isolate.
Sono molti gli enigmi incompresi della Repubblica occidentale dell’isola di Hispaniola. La seconda nazione indipendente delle Americhe è visibilizzata all’estero solo in menzione di traumi indicibili. Tra le righe di cronache brutali lo sguardo inciampa nell’episodio di una biblioteca saccheggiata ma fino a poco tempo fa impegnata a dare un piccolo contributo, per lo più periodici di ieri e di oggi, alla Digital Library of the Caribbean. Quindi più nulla dopo il 3 aprile.
Tre settimane dopo le agenzie riaccendono i riflettori. Articoli fotocopia, certo, eppure la notizia c’è. Ariel Henry si è dimesso dalla carica di primo ministro lo scorso 24 aprile, il consiglio di sicurezza nazionale a nove membri è in via di formazione, con mandato non rinnovabile di un paio d’anni. La dannazione di Haiti è una storia di ingiustizia sociale, schiavismo, colonie e potere che continua a riverberare nelle pupille di chi fugge, di chi imbraccia e di chi stanzia. A Port-au-Prince c’è un edificio che conserva alcuni brani di questa storia, un edificio tenuto poco in considerazione da chi governava, sventrato dai furti di chi voleva forzare un cambio. Non è Tahrir, non è Occupy, non è la rivolta politica che riconosce la biblioteca e che piace, quantomeno quando la si osserva e la si celebra dalla distanza di sicurezza. Eppure oggi in molti parlano dell’edificio di Rue du centre, angolo Rue Pavee.