Lunedì film ha riempito la prima serata del primo canale RAI dal lontano 1983 al 2002. La sua sigla? Uno stacchetto dal titolo Lunedì cinema firmato da Domenico Sputo, speudonimo di un Lucio Dalla, che accompagna con il suo riconoscibile scat la strumentale funkeggiante degli Stadio. L’intera ritualità dell’esperienza di visione (di sala e di divano) fatta di trailer, di “fine primo tempo”, di sigle alla Lunedì cinema, Anicaflash o Coming soon è stata tradita da un ossessivo ricorso alla pubblicità prima, dalle piattaforme poi. Nemmeno le iconcine delle recensioni su Il Manifesto con l’omino sul divano: “soporifero”, “letale”, “cult” sono sopravvissute immuni al cambio dei tempi, sepolte nelle sofisticate pagine di Alias. Nel mezzo c’è stato l’aumento incessante dei costi dei biglietti, la proliferazione di multisala sempre più simili a centri commerciali, la condivisione di pile di cd marcati a pennarello blu e zeppi di dvix. In un tempo solo apparentemente più vicino qualcuno ha seguito la liturgia di megavideo e dei suoi epigoni. Un’esperienza distante dall’untuosa ideologia del blu-ray e del dolby 5.1, spesso confortata dal suono metallico e sovraccarico di bassi, sprigionato da improbabili casse lo-fi da gamer, che con poca spesa ci hanno accompagnati a soddisfare l’atavica fame di pellicole low-cost nuove o di riscoperta. Mentre navigavamo a vista, e nessuno sospettava i rischi di una pandemia già dimenticata, il cinema moriva?
Noi, operatori del settore cinematografico e culturale, esprimiamo la nostra ferma opposizione all’acquisizione indiscriminata delle sale cinematografiche da parte di gruppi internazionali il cui unico obiettivo è la riconversione di questi spazi in strutture commerciali, cancellando di fatto il loro valore storico e culturale.
Dall’Appello urgente per la tutela delle sale cinematografiche italiane, 31.01.25
Le sale cinematografiche non sono semplici immobili, ma presidi culturali fondamentali per la nostra identità e per la diffusione dell’arte cinematografica. La loro chiusura o trasformazione in centri commerciali rappresenta una perdita irreparabile per il patrimonio culturale italiano e per il pubblico, che rischia di essere privato di luoghi di aggregazione e di fruizione del cinema nella sua forma più autentica.
Così comincia l’appello che i big del cinema nostrano hanno sottoscritto qualche mese fa per denunciare la campagna di accaparramento indiscriminato di tante sale capitoline da parte di diversi grandi operatori del mercato immobiliare. Lo ha raccontato con chiarezza DinamoPress: è da anni che le sale cinematografiche a Roma chiudono. Delle 200 attive negli anni ‘60 ne sono rimaste solo 41. Negli ultimi dieci anni ne sono state chiuse più di 100. Alcune sono diventate piscine, sale gioco, supermercati.
Se Roma piange, Milano non ride. L’ultima notte di luglio del 2023 ha chiuso i battenti dopo un intero secolo di spettacolo lo storico Odeon, ultimo (ad oggi) di un copioso e doloroso elenco di sale che hanno spento le luci per sempre: Adriano, Ariston, Orchidea, Oberdan, Manzoni, Mignon, Nuovo arti, Gnomo, e ancora:
Alcione, Astoria, Astra, Ambasciatori, Cavour, Corallo, Diana, Excelsior, Mediolanum, Metropol, Pasquirolo. Nomi che oggi hanno perso significato ma che qualche decennio fa erano ambitissime sale cinematografiche del centro di Milano. Tempi in cui c’erano cinema di prima, seconda e terza visione dove il prezzo del biglietto variava sensibilmente […] Dalle 140 sale a metà anni ‘70 si è passati alle neanche 20 di oggi e alle multisale.
Cinemaitaliano
Fin qui tutto chiaro, ma cosa si cela oltre il binomio multiplex o cineclub? Personalmente non credo alla narrativa delle esperienza straordinarie perché capaci di combinare investimenti tecnici, sedute di design, curatela della programmazione ma anche dei cocktail, fanzine per i tesserati, schermi fantasmagorici e via discorrendo. Non si vive di sole eccellenze, non siamo tutte e tutti ovunque eccellenti, nemmeno le sale da proiezione. E’ finita che ho perso la concentrazione adeguata a quell’esperienza lì, ho comunque tolto gli abbonamenti, ma ho tenuto il proiettore in casa. E allora perché piango sul latte versato di sale che frequento meno che poco? Perché mi manca, perché non è un problema di comfort da chaise longue o di naturale mutamento di quelli che orribilmente chiamano nuovi consumi culturali. Sapere in cosa si trasformano i cinema è un buon punto di partenza, sapere chi li acquista (palestre, apple store, supermercati, per citare tre recenti episodi nella città in cui abito) è un ottimo spunto critico, pretenderne l’accessibilità a prezzi popolari è un altro indirizzo di sicuro interesse. Almeno tre i problemi da affrontare…tra i problemi da affrontare:
- regolamentazione urbanistica ultra-permissiva e poco remunerativa per la città pubblica (qui il naufragato SalvaMilano non è che la punta dell’iceberg di un sistema caratterizzato da bassi oneri e assenza di disegno) in particolare, nuovamente a Milano, per quanto riguarda il cambio di destinazione d’uso dei cinema.
- percezione falsata della crisi del cinema: la conferenza stampa di presentazione dell’ultimo rapporto Cinetel (9 gennaio di quest’anno) verga in grassetto un risultato in linea con l’anno precedente nonostante l’offerta di prodotto internazionale condizionata dagli scioperi del 2023 e la forte competizione dei grandi eventi sportivi durate l’estate.
- politiche di promozione della cultura cinematografica (giovani e giovanissimi, circuiti indipendenti, seconde visioni a bassissimo prezzo) non adeguate a tracimare il perimetro assistenziale.
Cos’altro? I saloni dove più mancano: nelle periferie delle città dove non un teatro, non una sala da ballo (per dirla all’antica), non un concerto e non una proiezione accendono una serata “a 15 minuti”, per dirla con una formula di moda, perlomeno lo scorso anno. Quando il trasporto pubblico locale ti seduce fino al centro per poi tradirti in orario notturno senza un bus che ti riaccompagni a casa. Quando l’experience non è a portata di famiglia. Quando l’offerta culturale è identica dappertutto. Quando è quella sera lì, quella in cui vorresti proprio tornare in sala.
Foto di Felix Mooneeram, Unsplash